I re della giungla
Di Alice Previtali
Foto © Guido Leonardi
La storia insegna: avere qualcuno da combattere è vitale, è insito nella natura umana che pare abbia inconsciamente e fisiologicamente bisogno di misurare il proprio sistema di valori con l’obiettivo di affermarlo su qualcun altro. Per portare un esempio non troppo remoto, proprio quello che è successo durante la pandemia in Italia… quando inizialmente “l’untore” era il “No-vax”, poi il “No green pass”, poi i vaccinati e infine i virologhi. Spesso è lo stesso governo a canalizzare l’odio popolare per tenere in piedi i cardini del sistema sociale. Se andiamo a toccare la spiegazione psico-filosofica - come piace a me - possiamo riassumere con il pensiero di Umberto Eco ciò di cui stiamo trattando: “Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto il quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Per cui quando il nemico non c’è, bisogna costruirlo”. Il Novara FC, fino a inizio stagione, era qualcosa che apparteneva a pochi: troppo giovane, vecchio, debole, inferiore, economicamente povero, spacciato, inetto e soprattutto colpevole di essere ciò che non siamo “noi”, di non sapere ciò che sappiamo “noi” e di non aver storicamente passato ciò che abbiamo passato “noi”.
Generalmente vengono considerati giusti e buoni quelli che hanno il privilegio di poter raccontare la storia: patron Massimo Ferranti ad esempio, il “gladiatore” che ha risollevato dalle cattive sorti un Novara allora societariamente “morto” (ma che con le sue stesse mani ha tentato di svilire ciò che umilmente si stava creando tra il destino contrario), con grandi difficoltà, ma con una ragion d’essere sicuramente più potente rispetto ai soldi e alle aspettative della qualunque. Al contrario dei giusti, i perdenti - o gli ultimi - che in questo caso corrispondono alla squadra e all’intero staff, sono gli sconfitti a priori, destinati ad essere soggetti di distonie. La rosa azzurra affettivamente non apparteneva più al tifo né tantomeno al presidente e sugli spalti e in curva le opinioni erano inequivocabilmente identiche, così come quelle nero su bianco…
Avere un ostacolo da superare, che ci aiuta a misurare il nostro valore o quello degli atleti, è più o meno la colla che accomuna il calcio negli ultimi anni. Lo stesso Cristiano Ronaldo scrisse tramite le sue pagine social “Il vostro amore mi rende forte, il vostro odio inarrestabile” e molti possono esser gli ostacoli “stimolanti”, come un allenatore scettico, i risultati non soddisfacenti oppure può essere lo stesso atleta per sé stesso: i limiti del suo corpo o del suo talento.
Nel nostro caso, però, era la squadra. Poi l’intruso diventa un altro, si smonta il vecchio conflitto trasformandolo in una nuova cooperazione e non perché la squadra sia troppo diversa da quella di ieri ma perché si è cambiato modo di vederla, successivamente all’ingresso del nostro nuovo nemico: il presidente, colpevole delle sue stesse indecisioni segretamente custodite. Per quanto, rispetto a prima, portiamo a casa gol e punti preziosissimi, per quanto il buon lavoro e le fatiche fisiche generano frutti maturi, per quanto sia passato del tempo per vedere finalmente tangibili risultati, non sono cambiati i giocatori e non si è mai abbassato il livello di motivazione. Semplicemente è cambiato il tifo, non più nemico.
Lo stadio ha iniziato ad amare gli 11 ragazzi in campo (più la panchina) e coalizzarsi con loro, a creare quel muro difensivo che fa scudo alle frecce che continuano ad essere lanciate da trattative economiche, da chiacchierati conti finanziari e da condizioni che tutto avrebbero potuto portare tranne che un costante e continuo impegno, un voler fortemente ruggire ogni singolo minuto di tutti i 90 complessivi, più il recupero. Ed ora lo sentono tutti perché non è da tutti. Forse ieri sono stati più bravi del solito. O forse, semplicemente, all’interno di quel muro costruito per difenderli e guardandoli nel modo in cui meritano, si è potuto finalmente ammirare lo spettacolo che l’arena del “Piola” ha mostrato: leoni in campo che ruggiscono anche contro le ire del destino.