Esclusiva VNV: L’intervista a Raffaella Calloni
Di Alberto Battimo
È stata una delle protagoniste della pallavolo italiana negli ultimi vent’anni. La sua carriera è stata costellata da una serie di infortuni, questo però non ha mai frenato il suo desiderio di vittoria e di tornare sempre in campo con la stessa voglia e passione dimostrate sin dal primo giorno. Si è arresa dopo l’ennesimo infortunio subito a Modena, ma questo non cancella tutto quello che ha dato per la pallavolo e per gli insegnamenti trasmessi, diventati mantra per le sue compagne di squadra. Oltre ad essere stata una campionessa nello sport lo è diventata anche nella vita: il corso di mental coach le ha permesso di crescere tantissimo e di sviluppare nozioni da mettere in pratica nella vita di tutti i giorni, anche sotto il profilo relazionale. A proposito di rapporti, uno su tutti è speciale e sarà sempre ricordato in ogni occasione: l’indelebile amicizia con Sara Anzanello. La sua scomparsa è un dolore ancora forte da accettare, quello che ha lasciato in dote è racchiuso nelle parole straordinarie che la nostra intervistata ci ha regalato. Lei è… Raffaella Calloni.
Giugno 2018, un tuo post sui social aveva ufficializzato il tuo addio alla pallavolo giocata. Già da qualche mese eri ferma per un brutto infortunio: l’operazione subita a febbraio, per la ricostruzione del legamento crociato anteriore del ginocchio destro, ti aveva fatto concludere anzitempo la stagione. L’incipit del tuo messaggio di addio era il seguente: “Dopo mesi di riflessione ho deciso di appendere le ginocchiere al chiodo…”. Proprio su queste parole mi voglio soffermare: su quali temi si sono basati i tuoi ragionamenti e quali hanno avuto il sopravvento, per farti propendere al ritiro? “Sentivo che il mio fisico aveva “alzato bandiera bianca", ero stanca e trovavo impegnativo stare dietro alle ragazze più giovani. Ero piena di acciacchi, facevo molta fatica ad alzarmi dal letto, una situazione pesante da portare avanti. Non sono mai stata una giocatrice di talento, l’unico modo per competere ai massimi livelli era quello di dare tutta me stessa in ogni allenamento, questo però ha influito sul mio corpo con il passare del tempo. Anche l’aspetto mentale ha avuto il suo incidere: cercavo una certa stabilità e voglia di costruirmi una famiglia, di trovare nuovi stimoli e obiettivi fuori dal mondo sportivo. Ad essere sincera era già da un po’ di anni che pensavo al ritiro però stavo bene con le mie compagne e avevo ancora voglia di dire la mia. L’ultimo anno a Modena non era partito sotto i migliori auspici, l’infortunio al ginocchio l’ho interpretato come un segno del destino e che, forse, era arrivato il momento di chiudere definitivamente la mia carriera. C’erano tante cose da valutare e da prendere in considerazione, il mio percorso mi ha visto varie volte superare degli infortuni non banali. Non potevo mai risparmiarmi per riuscire a misurarmi con le altre, questo ha influito sul mio cammino aumentando il rischio di ricadute, purtroppo frequentemente avvenute”.
Da quel momento è partita la tua “nuova vita da grande”, espressione che hai voluto condividere per tracciare la tua futura strada. Nel giro di pochi mesi dal tuo addio sei diventata “mental coach”, un percorso lungo e difficile. Sei passata da corsista nel 2012 fino ad insegnare ad un gruppo di giovani emergenti come si affronta la vita e le varie vicissitudini sportive. Com’è nato questo interesse e, soprattutto, il decidere di coltivarlo nel pieno della carriera? “Questo interesse è nato per necessità. Nel 2009 ho iniziato a soffrire di attacchi d’ansia, inizialmente mi sono rivolta ad uno psicologo senza però raggiungere l’agognato benessere. Poi ho conosciuto Michele, il mio attuale compagno, il quale mi aveva parlato di un corso specifico: “Hoffman Quadrinity Process”, incentrato sul volersi bene. Sono stata fuori dal mondo per una settimana, senza cellulari e mezzi di comunicazione, con l’obiettivo di concentrarmi solo su me stessa senza distrazioni di vario genere. Finalmente ho visto dei risultati, ho cominciato ad avere un approccio diverso nella mia vita privata e nelle relazioni. Ho ampliato il mio bagaglio personale di valori e principi, in modo da mantenere una certa stabilità e trovare la giusta armonia. Successivamente nel 2011, quando giocavo a Villa Cortese, ho avuto la fortuna di lavorare con Alessandro Mora e Pasquale Acampora, due mental coach di alto livello. Ho apprezzato sin da subito il loro lavoro ed ero curiosa dei metodi utilizzati e della capacità di toccare i tasti giusti per riuscire a tirare fuori il meglio da ciascuna di noi. Solo in quel momento avevo capito quanto potesse fare la differenza scendere in campo nelle giuste condizioni mentali, così mi sono appassionata e sono partita decisa con gli studi. L’entusiasmo era alto ma è anche vero che, dopo un anno e mezzo, avevo capito che questa veste non rappresentava il mio futuro. Sono contenta di avere seguito comunque questo percorso, mi ha permesso di inglobare nuovi strumenti utili sia in ambito lavorativo che nel vivere con serenità e coerenza la quotidianità. Col tempo avevo capito che non faceva per me, però è stato fondamentale per aiutarmi a crescere e a valutare certi aspetti in maniera diversa, ampliando la mia visione a 360°”.
Il ruolo di “mental coach” non solo ha effetto in ambito sportivo ma anche nella vita quotidiana. Quali sono i tuoi punti cardine, che hai voluto condividere sin dall’inizio? “Principalmente ho deciso di seguire il percorso di “mental coach” con l’obiettivo di lavorare su me stessa e sulle mie abitudini quotidiane. Davanti alle varie vicissitudini che la vita ti mette dinanzi ho imparato a trovare le risposte migliori e intelligenti, ho notato quanto il mio pensare abbia fatto dei passi importanti, agendo sempre in maniera costruttiva e utile. Quando ti senti più equilibrata e in pace con te stessa allora puoi passare alla fase successiva, quella relativa al rapporto con gli altri. Sono diventata una persona più diplomatica, questo perché ho imparato a conoscere la psiche degli altri, non tutti ragionano allo stesso mio modo. Anche quando si è stanchi o si sta vivendo un periodo di tensione è importante instaurare rapporti per trovare sempre conforto e una parola di sollievo. Poi arriva la famiglia, a livello comunicativo è bello ascoltare e riuscire a parlare con i figli e ad avere un’intesa con il partner. Mi è bastato poco più di un anno in questa veste per farmi svoltare completamente la vita: grazie a questo percorso adesso ho gli strumenti giusti per affrontare gli eventi quotidiani, valutando la scelta migliore. Nel vedermi all’opera sui vari temi mi rendo conto di quanto sia vasta la mia percezione, sono capace di individuare la giusta chiave di volta per uscire al meglio da ogni evenienza. Non esiste nessuna formula magica, questo corso ti insegna il giusto linguaggio da mantenere e da mettere in pratica. Inoltre, ti permette di formulare i pensieri con una certa logica e di immedesimarsi nei vari stati d’animo, se riesci nell’intento non potrai fare altro che notare risultati straordinari”.
Successivamente sono seguiti due anni di inattività: la gravidanza e il lockdown, dovuto al Covid-19, avevano frenato la tua voglia di sport, subito ritrovata quando le condizioni generali sono migliorate. Hai anche provato a tornare a giocare a pallavolo, con l’obiettivo primario di divertirti. Come avevi affrontato quella fase e cosa ti aveva spinto a provare a rigettarti nella mischia nel volley? “La pallavolo mi manca tuttora, non nego che mi piacerebbe giocare a beach volley. La realtà è un’altra però, le mie ginocchia sono deboli e non ho ancora quella muscolatura necessaria per riuscire ad affrontare una partita ad un livello accettabile. Non sono del tutto ferma però, quando riesco, un po’ di palestra è sempre benvenuta. Cerco di fare il meglio possibile rispetto alle mie attuali capacità. I molti impegni, sia familiari che extra, mi coinvolgono giornalmente, le cose da fare sono un’infinità e il tempo per dedicarmi alla palestra è veramente ridotto al minimo. Pensa che quando decido di andarci l’unico momento favorevole è alle ore 6.00 del mattino, questo per farti capire i tempi stretti per cercare di fare tutto”.
Poi è arrivato il padel. Insieme a tuo compagno e ad altri due soci avete dato vita ad una nuova società sportiva, la “4Motion Padel”, progetto che ha preso vita nella primavera di tre anni fa. Il legame di amicizia presente tra il tuo compagno e uno dei due soci vi ha permesso di entrare a far parte di questa iniziativa, con sede a Fermignano, nelle Marche. Cosa vi ha spinto ad accettare e a mettervi in gioco in questa nuova disciplina? “Prima di tutto ci piaceva mantenere un certo legame con lo sport e “ringraziarlo” per quello che ci ha dato negli anni passati, visto che anche il mio compagno giocava a basket. Inoltre, racchiude una serie di principi a me molto cari: condivisione, crescita, amicizia e sana competitività. Oltre a questo, volevamo fare un passo in più e gestire personalmente una struttura per portarla avanti con le nostre idee e iniziative. Siamo subito andati alla ricerca di questa possibilità: quando è spuntata questa opportunità non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione, così siamo diventati soci di questa società sportiva”.
Da campionessa di pallavolo ti vedremo presto anche fuoriclasse a padel? “Sicuramente no, ho provato a giocare a padel ma le mie ginocchia non ne hanno voluto sapere. Avrei bisogno di un lavoro in palestra più specifico, a livello di pesi, ma in questo momento non sono idonea per giocare. Posso dire che mi sono difesa bene quelle volte in cui mi sono messa alla prova, il mio smash non ha nulla da invidiare rispetto a quello dei giocatori più assidui. I tanti anni di pallavolo non mi aiutano, ormai sono insiti in me certi movimenti che dovrei modificare per il padel, cosa infattibile dopo vent’anni di carriera. Cambiare il modo di muovermi per questo sport è quasi una missione impossibile, ci vorrebbero altri anni di allenamenti per acquisire certe movenze tipiche di questa disciplina. Mi è bastato giocarci un po’ e guardarlo dall’esterno per percepirne il suo fascino, mi piace molto e sono contenta nel portare avanti questo progetto con impegno e professionalità”.
Immagino che Novara abbia un posto speciale nella tua carriera: hai esordito in Serie A1 con la maglia dell’AGIL, peraltro la stessa società debuttava nella massima serie proprio in quella stagione. Dopo quell’esperienza sei tornata sotto la Cupola nella stagione 2005-2006, vincendo la Supercoppa Italiana e l’allora “Top Teams Cup”, ai tempi dell’Asystel. Cosa ricordi di quei due anni da noi? “Sara Anzanello, subito mi viene in mente lei. Per il resto sono stati anni belli, ero giovane e tutto veniva visto come una novità, un clima bello e affascinante. Ricordo che mi feci male quando stavo per scalare le gerarchie, si vede che doveva succedere e non ho nulla da recriminare. A Novara ho vissuto le mie prime sfide con il palazzetto pieno di gente, un entusiasmo verso di noi speciale e caloroso. Quante emozioni vissute legate alla pallavolo: il mio esordio in A1, le tante vittorie, qualche sconfitta ma tanti ricordi indelebili che mi porterò per sempre nel cuore. Ricordo il mio primo anno ai tempi dell’AGIL, coach Pedullà mi testava in varie posizioni, feci l’opposto ma ogni tanto mi metteva centrale. Ero alle prime armi, giustamente dovevo essere impiegata in vari ruoli per riuscire a trovare la giusta dimensione. Una delle mie grandi fortune è stata quella di potermi allenare con delle fuoriclasse, questo mi ha permesso di crescere tanto, perché non mi reputo una giocatrice talentuosa. Oltre a loro sono stata guidata da allenatori tecnicamente superlativi, anche se alcuni non tanto sotto l’aspetto umano. A Novara ha avuto inizio la mia carriera nella massima serie: mi sono trovata bene, col tempo la società ha dimostrato di superare vari ostacoli societari fino a trovare la sua reale importanza: la continua lotta nelle posizioni di vertice è il marchio di fabbrica di questa società, nata con l’obiettivo di portare Novara sempre più in alto”.
Qualche settimana fa Veronica Angeloni è stata protagonista di una nostra intervista. Nel ricordare anche lei la stagione vissuta ai tempi dell’Asystel ha voluto ringraziare te - ed altre compagne - per averla guidata nei suoi primi passi nel volley. Anche tu eri giovane e pronta a tuffarti nel club delle migliori, ti sentivi già “osservata” e un punto di riferimento? “A distanza di anni mi stai dicendo una cosa nuova ma che mi fa un enorme piacere. Veronica, per me, era considerata la “cucciolotta” del gruppo: era piccolina e abitavamo abbastanza vicino. Non pensavo mi prendesse come riferimento, sono contenta di questa gradita notizia. Anch’io, come lei, guardavo giocare le nostre campionesse già affermate per cercare di cogliere ogni sfumatura dalle loro giocate: Cristina Pîrv, Nataša Osmokrović e Taismary Agüero le ammiravo tantissimo, hanno fatto parte della storia della pallavolo. Personalmente non ho mai avuto la percezione di essere un punto di riferimento nel periodo novarese, a fine carriera invece sì. Ho fatto delle scelte diverse: invece di militare in squadre blasonate, e diventare una specie di gregaria, ho preferito giocare in squadre con obiettivi diversi ma con un ruolo più importante, sia in campo che nello spogliatoio”.
Il roster novarese della stagione 2005-2006 era pieno di fenomeni e di giovani promesse. Tra le tante campionesse c’era anche Sara Anzanello, prematuramente scomparsa nel 2018. Il legame tra voi due sarà per sempre indissolubile, sui social le dedichi sempre un post, da brividi le tue parole, che terminano sempre con questa dedica: “Non te ne sei mai andata. Non te ne andrai mai”. Chi meglio di te può spiegarci che cos’è la vera amicizia e che potere ha nella vita di ciascuno di noi? “Quando si parla di Sara parliamo di amicizia con la A maiuscola: se sei fortunato sono quelle persone che ti capitano una volta nella vita. Per me è stata come una sorella, il mio punto di riferimento nello sport e nella quotidianità. Con lei condividevo tutto, sia i momenti belli ma anche quelli brutti, era sempre la prima ad essere chiamata per ogni cosa. Conosceva tutto di me, i miei pregi e difetti: la sua capacità di trovare sempre la parola giusta e di saperti stare vicino facevano di lei la persona più preziosa che avevo. Quando mi sono rotta il ginocchio a Modena sono entrata in spogliatoio e la prima persona che ho sentito è stata proprio lei. Questa è amicizia, qualcuno che ti vuole bene ed è pronto ad amarti nonostante ti conosca già alla perfezione. Quella persona a cui sai di potere contare ciecamente, in qualsiasi momento della giornata basta uno squillo ed è già lì vicino ad ascoltarti e a farti ridere e divertire. Sara è stata, è e sarà sempre nei miei ricordi e nella mia vita”.
Vuoi lasciare un messaggio a tutti i tuoi sostenitori e agli amanti della pallavolo? “Un enorme grazie a tutti quelli che negli anni mi hanno seguita e sostenuta. Mi ha sempre fatto piacere quando, nel corso della carriera, avete sottolineato la persona che sono e non vi siete solo soffermati sull’atleta: in alcuni momenti è stato molto importante avere qualcuno che riconoscesse questo mio lato umano, col senno del poi tante persone sono diventate dei cari amici, questa è la parte più bella e gratificante. Grazie anche a tutti i detrattori, per come sono fatta sono stati benzina per me: penso di avere dimostrato che non avessero ragione e vado fiera di esserci riuscita”.
Grazie a Raffaella Calloni per la disponibilità nel concederci questa intervista. A lei va un grandissimo “in bocca al lupo” da parte di tutta la redazione del sito.