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Di Alice Previtali

L’umore dei tifosi che si è respirato sui social e per le strade era quello di un popolo infastidito e adirato per l’attesa del ritiro della Nuara Card e per l’aumento dei prezzi allo stadio, umore che da un paio di giorni sembra finito sulla parte opposta della bilancia dopo la prima giornata di campionato di Serie C. Festeggiano uniti per un risultato a reti bianche, risultato che senza contestualizzare la partita era vissuto come una “mattanza” la stagione scorsa, perché non ci ha permesso di vivere serenamente nel “mezzo del girone di nostra vita” e piuttosto ci ha fatto finire nella tempesta dei play-out che “Dio Nettuno” ha fatto terminare, per fortuna, nella gioia.

E proprio con l’occhio sull’anno scorso sapevamo che a Salò avremmo trovato una squadra tosta che ha una missione da compiere, incentivata da giocatori che “da copione” sanno cosa devono fare. Il Novara FC, seminuovo e vivo, ha mostrato fame, rabbia e anima in campo, eccetto la prima mezz’ora passata probabilmente a cercare di dimenticarsi la percezione dei 60° in corpo.

Rimane un fatto però. I gol non ci sono stati, da ambo le parti certo, ma a noi degli altri poco importa. Il tentativo del bolide “Oh-Mio-Dio-Che-Cosa-Ha-Fatto” di Riccardo Calcagni rimane la conferma del centrocampo costruito forse su basi superiori alla serie in cui siamo, ma che non sempre può contare su chi con la palla dovrebbe danzare a ritmo di samba davanti al bagnasciuga avversario. Il tentativo di Agyemang su cross di Ongaro ci fa sperare che qualche conchiglia la possiamo raccogliere ma non possiamo aspettare sempre la bassa marea, dovremmo imparare a cavalcare le onde.

Sulla prima partita di campionato non è quasi permesso raccontare male, è una regola implicita del primo appuntamento, fermarsi ad annusare un sogno dove i difetti vengono dimenticati. Sorridere inebetiti e aspettare che la prossima volta succeda di meglio. È anche vero che se si inizia ad amare solo le promesse o le possibilità finisce che ci si illude di qualcosa che non c’è e non è annusare del potenziale o del talento in attesa che esca, ma semplicemente sperare che ci sia. Come sperare che non siano abbagli ma garanzie, come a ritrovarsi con mille kleenex per terra bagnati di cose che hai visto solo tu, come continuare a cantare NOVARA FACCI UN GOL senza averlo ancora visto. Ancora, ancora e ancora.

Per quanto al primo appuntamento la cena sia buona, il vino abbinato, il paesaggio incantevole e il ragazzo di fronte illusoriamente perfetto, arriva il momento del conto: lui ti guarda imbambolato e sussurra “Metà e metà”. E tu ti schianti fragorosamente con il sedere nell’amara realtà.

Servizio di Alice Previtali

 



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