Mentre tutto scorre
Di Alice Previtali
Il concetto di tempo è molto antico e, attraverso i secoli, si sono susseguite teorie che hanno cercato di definirlo. Spiccano, tra queste, discipline come la filosofia e la fisica che hanno cercato di comprendere caratteristiche e forme del tempo. Si è passati da una concezione fisica e assoluta del tempo, ad una visione psicologica ed esistenziale. Se come disse Aristotele il tempo è “Il numero del movimento secondo il prima e il poi” (“Fisica” di Aristotele) viene facile capire come esso sia un continuo divenire, a maggior ragione in un momento mutevole come i 90 minuti calcistici.
Il tempo fornisce un’idea di quanto qualcosa sia cambiato nel suo evolversi, anche se la concezione “umana” (e quindi di più facile comprensione e discussione) si ha con la diffusione della dottrina del cristianesimo, con Sant’Agostino che lo inserisce come elemento dell’anima e della vita interiore, concretizzando la percezione dello stesso nella memoria con il passato, nell’attenzione con il presente e nell’attesa con il futuro.
Memoria, attenzione e attesa sono concetti che con prepotenza bussano nell’anima di tutto lo stadio, soprattutto nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo e, soprattutto, se il the caldo è quasi sempre amaro come la differenza reti, spesso per difetto, che ci portiamo nello spogliatoio al posto dello zucchero. Così inizia, inesorabilmente, il secondo tempo. Si parte con il riscaldamento della panchina e dell’effettivo cambio di qualche giocatore. I titolari, infatti, dopo un primo tempo magari molto impegnativo, accusano visibile stanchezza, oppure lo stesso mister si rende conto di una diversa possibile strategia da imbastire per sorprendere gli avversari, cercando di mantenere o aumentare il livello prestazionale della squadra. O ancora l’entrata di un calciatore dipende da scelte tecnico-tattiche, fisiche, mediche, precauzionali come un possibile rischio di espulsione o semplicemente un turnover. Il giocatore che entra deve essere motivato, perché chiamato a cambiare il volto della partita o per mantenere il risultato positivo, se c’è.
All’inizio della ripresa, il proprio tempo gioca un ruolo determinante e dominante per qualsiasi allenatore e calciatore. Fa impennare a dismisura le emozioni ed è direttamente - o inversamente proporzionale - alle stesse, a seconda da che parte si conteggi, minuti che mancano o minuti che sono passati e del risultato da mantenere o da conquistare. Fa capo la paura all’interno del campo, in panchina, sugli spalti. Paura di non riuscire a preservare o, soprattutto, cambiare un risultato. Paura di sbagliare le ultime possibilità, paura di scegliere se passare il pallone come provato mille volte in settimana o provare a tirare, paura del giudizio del mister se per caso si sceglie di oltrepassare lo schema, consapevoli delle conseguenze del giorno dopo in caso di effetto negativo. Fa capolino la rabbia, delle reti subite o delle decisioni arbitrali spesso dubbie, la rabbia di non aver fortuna o di cadere nel vortice degli errori quando l’occasione si veste di oro.
Un’altalena di emozioni e di sentimenti che ci portiamo dentro, assente solo la rassegnazione che debba finire così anche se crederci è la cosa più difficile da fare, mentre il tempo scorre come un ticchettio scandito in maniera chiarissima e dolorosa. I tifosi incitano ancora, forse di più, il mister si agita copiato dall’intera panchina che sembra essere su “montagne russe” emotive: stress, depressione, tristezza e soprattutto speranza. I calciatori in campo, con le ultime energie, combattono con ferocia, in un ultimo sforzo che sembra essere disumano.
Qualcuno disse che l’esito della partita si decide nel secondo tempo, che è la frazione con la quale si impiega più ferocia in assoluto. Sì, perché proprio in quel momento entra in gioco il cuore, l’ardore e si stringono più forte i denti, vogliosi di mordere l’ultima e sporca occasione.
E arriva. Che porti vittoria o pareggio, che importa. L’occasione arriva. L’averci provato ancora premia come una vittoria in tempo di sconfitta, perché quando a pareggiare è stato il cuore, al triplice fischio finale festeggiamo come fossimo veri 11 leoni.
In fondo quanto dura un minuto, lo sappiamo solo noi.