Il Simposio delle Grazie
Di Alice Previtali
Nessun inizio è mai tanto determinante da deciderne la fine. Nel calcio, come nella vita, è certo che non vince chi comincia favorito ma solo chi arriva lontano, con le proprie forze e un pizzico di fortuna. E siamo certi che schemi, piani e statistiche, cui scopo è dare ordine alla confusione, nel calcio come nella vita sono destinati a liquefarsi di fronte all’imprevedibilità della partita o della situazione che stiamo vivendo. La realtà dei fatti è che siamo di fronte ad una squadra con il merito di non essere mai crollata da un punto di vista psicologico, nonostante tutto, soprattutto nonostante un mancanza di fiducia collettiva, osservazioni feroci e colpe addossate immeritatamente.
Poi arriva il momento del “Derby delle risaie” che, per il popolo “tifoso” novarese, si traduce nella “prova del nove”, un rito di iniziazione con il quale scegliere se riempire d’amore, ancora una volta, il colore azzurro quasi azzoppato (oltre che dalla classifica anche dai cambiamenti itineranti e dalle valutazioni collettive che indirettamente hanno posto ostacoli sul cammino della squadra), più da una sfortuna costantemente disarmante.
Ma poi succede... Quel momento lì che decreta la fine del pensiero negativo. Succede che la squadra di Gattuso è riuscita a mettere in soqquadro pensieri e parole, confondendo gli ormai poco credenti - e malfidenti tifosi - e non. Gli azzurri si sono ripresi ciò che sentivano loro, quella sera del derby. Un “botta e risposta” sotto il cielo stellato di un lunedì di novembre, in casa vercellese. E no, non è questione di punti in classifica o di vittorie, anche se l’hanno veramente cercata - e quasi ottenuta - è questione dell’eroica decisione di continuare a tirare, anche dopo il più grande errore.
Ecco, quel momento lì. Il Novara FC ha sempre, bene o male, avuto un senso tattico molto presente ma anche, forse, la colpa di accontentarsi del dominio statistico e di una buona circolazione del pallone senza però vantare l’esasperazione della pressione e senza saper strozzare la partita, anzi… era la partita a prendere per il collo la squadra. Possesso palla e carisma creativo erano due sostantivi incapaci di interagire tra loro, come i concetti platonici di Eros e Thanatos, figure che risalgono alla mitologia greca (dalla filosofia di Platone approdano poi alla psicoanalisi di Freud) e indicano due elementi fortemente contrapposti tra loro: il primo rappresenta l’erede di quella forza capace di creare la vita; il secondo, invece, raffigura la componente distruttiva.
E nel calcio, come nella vita, l’essere si riduce a due tipi di pulsioni: quella autodistruttiva e il principio di sopravvivenza come creatività. Il bilanciamento tra queste due forze porta, inevitabilmente, all’evoluzione, o - giornalisticamente parlando - alla svolta. E così arriva il momento in cui perseguiamo vittorie per le quali siamo disposti a perdere, con una mente pensante, un cuore pulsante e polmoni pieni d’aria e di volontà, così da essere ben certi di poter dare inizio, seppur in ritardo, al nostro azzurrissimo Simposio delle Grazie.