L’amore è cieco, ma io no
Di Alice Previtali
Foto © Guido Leonardi
Quando il treno dei desideri procede in direzione opposta e contraria diventa difficile anche scrivere perché ogni osservazione risulta banale, demotivante e spesso inopportuna. Arriva ad un certo punto il momento in cui ognuno di noi deve necessariamente diventare maturo nel valutare situazioni in maniera oggettiva, senza farsi trasportare da sentimenti, malinconie e rabbia per poter permettere una necessaria presa di coscienza, che come disse il filosofo Jean-Jacques Rousseau “E’ un’espressione morale che accomuna tutti gli uomini indipendentemente dalle loro differenti condizioni intellettuali e culturali”. Inevitabile per tutti, insomma.
Il fatto di rendersi esattamente conto della realtà delle cose, quel sapere immediato che riguarda la sua stessa indistinta oggettività, ci permette di fare un salto mentale che ci sposta da dove siamo per approdare nel mondo dell’empatia cognitiva, ovvero quella dimensione che ci permette di prendere in considerazione la prospettiva altrui e comprendere intenzioni e pensieri, anche se mascherati.
La presa di coscienza novarese è bypassata nel momento di una delle ultime comparse pubbliche di Massimo Ferranti della stagione scorsa, quella famosissima volta in cui definì il marcatore Galuppini - l’indiscusso fenomeno giornalistico (da 10 “sberle” stagionali e non 37, così per dire) - come un emerito “coglione” e la folla, che si agita sempre positivamente quando si esprimono epiteti coloriti se non riguardano ovviamente né loro, né la loro famiglia, fu ancora più felice di sentirlo addirittura aggiungere che “La squadra è scarsa”. Come un sibilo, proprio quel giorno, il patron annunciava - sempre con la modalità dell’incertezza simil “presa in giro” che lo contraddistingue - che le sue quote societarie erano in vendita. Nessuno lo sentì o si fece finta. Perché l’importante è che Galuppini fosse un coglione, come tutta la squadra. Poi il sussurro è diventato pettegolezzo, il gossip voce e, a sua volta, la voce verità… non proferita direttamente dalla sua bocca ma tramite le testate giornalistiche, perché a livello comunicativo Ferranti non ha dimostrato di essere un grande interlocutore.
Ora in maniera analoga sembra essere finito anche Di Battista che, per quanto, a differenza del patron non si è mai rifiutato di prendere atto alla disfatta o alle accuse, essendo anche lui responsabile poiché parte integrante dello staff. Seppur non abbia fatto altro che svolgere per filo e per segno il lavoro che gli è stato chiesto di fare, è caduto nel tranello delle parole fuori luogo, definendo i suoi stessi pupilli “scarsi”. Dichiarazione a caldo, ma quanto male hanno fatto quelle parole!
Insegna Paolo Borzacchiello, famoso life-coaching, che siamo il risultato delle storie che ci hanno raccontato su di noi, alla cui narrazione abbiamo assistito. Il nostro cervello registra tutto e scrive regole sulla base delle informazioni che riceve, fossero anche fuorvianti, menzognere o cattive. Orienta, infatti, l’attenzione dove lo decidiamo e innesca reazioni a catena conseguenti, facendoci entrare in pessimi circoli viziosi, che si riflettono come un boomerang sulla pratica, sulle azioni e sul lavoro, oltre che sulle relazioni tutte.
La nostra realtà prende forma dalle parole che abbiamo in testa, per questo dovremmo spostarci in un altro quadro, che ci dia la possibilità di creare nuovi scenari e che cancellino quelli vecchi. Le parole che usi dicono da dove vieni, le parole che scegli dicono dove vuoi andare e io non voglio andare dalla parte di nessun provincialismo, nessuna mediocrità e nessuna arresa, perché dove voi vedete il nulla e lo definite come inferiorità, io ci vedo ragazzi che ce la vogliono fare, magari nella confusione più totale, ma determinata dai dettami a loro esterni, nonostante un debutto indiavolato tra lingue taglienti e cambi di rotta. A fianco a loro, i “senior capi branco” finiti anch’essi maleficamente sulla barca del dito puntato, un po’ abituati visto l’ennesimo malcontento dell’anno passato, a dimostrazione che non è tanto la posizione in classifica a fare le critiche ma l’intrinseca voglia - provinciale - di polemizzare. Sempre e comunque.
Al di là di un paio di possibili giocatori in completa crisi sportiva, vedo un gruppo che il gioco lo fa ma non è capace di lavorare insieme, che l’idea ce l’ha ma inciampa sui suoi stessi piedi. Riuscire ad abbattere gli errori individuali e mettersi al servizio della squadra è il solo compito dell’allenatore. Perché non vince il più ricco, il meno giovane e nemmeno il più forte… Vince chi si evolve. E anche un po’ chi sta zitto.
Io sto con voi, che si salga o che si scenda. Perché se l’amore è cieco, io ci vedo benissimo.