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L’emozione non ha voce


Di Alice Previtali
Foto © Guido Leonardi

Non lo farò. Non farò la maestra che alla prima verifica prende la penna rossa. Perché nessuno è mai pronto per la prima verifica, probabilmente nemmeno l’insegnante. Probabilmente l’insegnante è il più agitato di tutti perché sa di essere il responsabile, qualsiasi cosa accada. E accade sempre il contrario: alunni prodigio “che si perdono”, non hanno la memoria per trovare la soluzione che fino a ieri coglievano a occhi chiusi. Perché nella verifica c’è qualcosa in più che non c’è nell’esercizio e che bisogna imparare a godere ma anche a gestire: il batticuore.

L’emozione gioca brutti scherzi, ti annebbia, ti confonde e a volte ti rende stupido. L’emozione la devi domare ma non frenare, devi accompagnarla, consumarla, indicarle la via e lasciarla essere. Studiare la gestione delle emozioni, siano esse positive o negative, non è meno importante dello studio di uno schema tattico.

Non lo dirò. Non dirò che una volta appurato che il miglior attacco è la difesa e la difesa, tutto sommato, se guardiamo anche la panchina, ci dà quantomeno la garanzia di poterci fidare, bisogna assolutamente sistemare l’attacco. Perché, gentile mister, chi segna segna come dici tu, ma l’attacco deve attaccare e qui l’idea mi sembra molto più che lontana.

Non dirò che sbuffare in campo, lamentarsi su falli, linguacce o sgambetti portano a perdere solo del gran tempo anziché ripartire, oltretutto in un momento strategico in cui tutti stanno ancora pensando ai cinque secondi precedenti. Non dirò che essere avanti significa pensare a dove puoi calciare ORA e non a quanto è stato brutto e cattivo l’arbitro, o l’avversario, inutile pensare che è ingiusto quando puoi, in quel momento, dannatamente cambiare il destino se la tua testa corresse più forte delle tue gambe. L’arbitro non cambia idea. Tanto vale andare avanti.

Non dirò niente di tutto questo. Mi limiterò a dire solo un paio di cose. La prima. La finezza, la preparazione e l’intenzione del Novara c’erano. C’era l’impegno, la memoria e lo schema. E c’era anche la capacità di vestirsi con abiti tattici diversi. C’era una maglia bellissima. C’era l’emozione, l’esordio, la prima di campionato, i giovani, la luna. C’era il tifo, unico, esagerato, fragoroso, in trasferta. C’ero pure io. Ma non c’era la cattiveria sportiva, non c’era la malizia, non c’erano quei trucchetti che potevano portare l’avversario a distrarsi, quella sana provocazione, quel linguaggio non verbale che avrebbe confuso con intelligenza per guadagnare terreno di gioco e tempo prezioso. Non c’erano i “veterani” che svolgevano il loro primo compito, quello di aiutare i compagni e, certo, soprattutto i più piccoli, a godersi lo spettacolo e a non avere paura, non c’è stato nessuno che li ha incitati veracemente in campo, tranquillizzati o pizzicati. Non c’è stato nessuno a dare il permesso carismatico di mordere. Ma anche nessuno che abbia voluto mordere, per ora solo miagolii. Su questo, ha vinto l’Alessandria. La seconda. Un buon capitano Simone Ciancio, non trovate? Eh no, non lo dico con ironia…

Servizio di Alice Previtali
Foto © Guido Leonardi

 


Nella foto pubblicata dall’Alessandria Calcio,
Calcagni con Ciancio, ex compagni lo scorso anno

 


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