Saremmo qui a sorridere
Di Alice Previtali
Ci si appella a tutto pur di trovare espedienti che cullano la nostra coscienza. Si è capaci di trovare motivazioni che giustificano il rendimento scivoloso degli ultimi periodi vissuti, spesso anche veritiere, che scemano il nostro malessere ma non giustificano un intero periodo contrario, zoppicante e a volte inconcludente, altrimenti era necessario venissero alla luce molto prima, semplicemente per coerenza e giustizia. Quando sai che stai per finire un percorso alla fine del quale ci sarà un verdetto e un saluto, tutto diventa irrimediabilmente importante e maestoso e ogni sgambetto che subiamo un ennesimo valico che ci rallenta. Come quando perdi una persona e ti accorgi di quanto avresti potuto dargli ancora o quando rimpiangi alcune scelte che hai deciso di compiere. Vale anche il discorso contrario, in tutti i casi: quando manca poco tempo e ne sei consapevole, tutte le occasioni perse diventano decolli che ci siamo lasciati scivolare dalle mani, le cui conclusioni positive, se ci fossero state, sarebbero ora come ora più imponenti del valico che ci piomba addosso o che facciamo piombare sugli altri. Saremmo qui a sorridere.
Quando sei consapevole del tempo che rimane la scelta è solo la tua e pesa tonnellate se proiettata nel rispetto di chi ti accompagna nel tragitto, compagni e squadra, mister e staff. Si calpestano le idee per cui si è lottato, gli obiettivi non ancora raggiunti spariscono e come macigni i “se” e i “ma” feriscono quotidianamente. Perché è oggettivamente vero che errori arbitrali, giudici di esistenze domenicali, ci hanno ghigliottinato perfidamente con un loro errore ma è altrettanto vero che non è la prima volta che succede, semplicemente è che sono più assordanti gli effetti perché il Novara è appeso ad un filo, il quale, per un insieme di motivi sta diventando sempre più sottile. Facile e anche immaturo girarsi per dare la colpa all’ultimo evento, la vita di ognuno è un insieme di concause dove magari la prima in ordine cronologico determina il destino in maniera più consistente dell’ultima, ma siamo bravi a dimenticarcene.
Gli errori fanno crescere, ed è vero, ma bisogna anche assumersi le proprie responsabilità non evidenziando solo le macchie dell’insuccesso per gli abbagli degli altri e nemmeno prendersela quando non tocca a noi ammettere mancanze. Questa è semplicemente una “coccola masochista” che ci facciamo per dare sollievo alla nostra autoflagellazione, mentre il vero mantra dovrebbe essere avere meriti superiori alle possibilità di metterci i bastoni tra le ruote altrui, volontari o meno. Per questo il calcio, come la vita, è fatto di un insieme di momenti: un campionato racchiude un numero di partite ognuna delle quali giocata per 90 minuti, dando modo anche al tempo di recupero di essere indispensabile, così che gli stop forzati non determinino il nostro modo gioco. Il tempo rappresenta il set della nostra esistenza e non è scandito solo dalle lancette dell’orologio ma dal modo in cui lo viviamo, dal modo in cui scegliamo di farlo diventare incancellabile. Sta a noi scegliere. Il resto sono solo alibi.
Alla mia amica Roberta,
per tutti i calci di rigore che le hanno immeritatamente battuto contro.