Borgo c’è
Di Alice Previtali
Foto © Guido Leonardi
In occasione della partita contro il Lumezzane, i bambini delle classi seconde dell’IC Borgomanero 2 che hanno partecipato al progetto “Fair Play: il cartellino azzurro” sono stati invitati come spettatori al “Silvio Piola”. Nonostante l’influenza che li ha decimati e il maltempo, i piccoli sostenitori presenti hanno tifato dall’inizio alla fine del match la squadra azzurra, soprattutto i calciatori che qualche giorno fa erano nella loro classe, Roberto Ranieri e Oliver Urso. La preparazione di cartelli dalla scritta “Borgo c’è”, il sostare alla ringhiera della tribuna durante il “warm up” e il vederli entrare in campo ha reso visibile la loro emozione e la loro felicità.
È stata la loro prima volta allo stadio ed essere accompagnati dalle loro maestre, Alice e Chiara, oltre che dai loro genitori, ha reso un qualsiasi sabato pomeriggio “speciale”, unico e indimenticabile. L’insegnamento sul campo non è solo un concetto retorico scolastico, insegnare significa trasferire idee o abilità da una persona all’altra, imprimendo una nuova conoscenza che poi dovranno saper ripescare e riutilizzare nella loro vita quotidiana. Sul campo, qualsiasi esso sia, si impara qualcosa di costante, di continuo.
Si impara a contare il tempo, ad esempio. Oppure che 90 minuti sono un’ora e mezza, esattamente come quella che dall’intervallo manca al suono della campanella. Che non è mai finita fin quando la campanella suona o, a fischiare, è l’arbitro. Che il successo è il risultato di un faticoso cammino ma che spesso è determinato anche da una botta di fortuna. Che sul campo si cade ma ci si deve rialzare, perché non sempre il gioco si interrompe quando sei a terra. A volte è proprio l’avversario a tenderci la mano, ecco il fair-play. Che l’arbitro non è ovunque e che certe volte non vede ciò che succede dove dovrebbe guardare.
Che è umano arrabbiarsi, dentro e fuori dal campo, che le parolacce e i gestacci fanno parte del linguaggio informale della lingua italiana, inutile nasconderlo, ma piuttosto è indispensabile sapere quando non dirle ed essere bravi a trasformare tutta la nostra ira in parole non censurabili.
Che una maestra che esulta per un gol è una maestra felice e lo verbalizza in un linguaggio non censurabile, utilizzando il congiuntivo in maniera impeccabile. Che nessun bambino è fisiologicamente portato a stare seduto per il tempo scolastico previsto, tranne alla stadio dove oltre a rimanere seduti riescono a stare in silenzio, in un composto rituale in cui scompaiono anche quei disturbi di attenzioni con cui vengono spesso catalogati.
Che allo stadio siamo tutti uguali. Che l’allenatore ha un cappotto antipioggia più lungo di un inserviente della mensa. Che in Piemonte è autunno anche in primavera. Che quella maschera in faccia a Vilhjalmsson mette paura agli avversari e la vorremmo anche noi per educazione fisica e le partite di pallacampo per spaventare il maestro. Che bisogna avere pazienza per avere un pacchetto di patatine e rispettare comunque la coda. Che il numero 18 oggi sembra un tornado. Che il nostro portiere urla più della maestra ma i suoi compagni lo ascoltano sempre, al contrario di noi.
Che se anche non abbiamo vinto abbiamo fatto un sacco di casino, eravamo anche contornati da tifosi avversari che ci sorridevano e abbiamo capito che il fair-play esiste anche in tribuna, ma forse solo perché loro sono salvi e noi non ancora. Che la scuola non dura dal lunedì al venerdì, anzi, quella del sabato è spesso più divertente. Che il mare non è sempre blu, a volte può essere verde, verde “Piola”. Che alla fine ciò che ci interessa è che Ranieri e Urso non siano sposati.
Quelle classiche esperienze da rifare, dall’inizio alla fine.
GRAZIE ancora a chi mi segue, a chi ci crede, a chi non teme le tempeste.