Alice, le sue meraviglie e...
Di Alice Previtali
Un pareggio che sa un po’ di rimpianto. Come quando Alice nel Paese delle Meraviglie mangia il funghetto sbagliato. Matematicamente, per la legge delle probabilità, siamo arrivati ad un momento in cui è più facile segnare che sbagliare. E invece portiamo a casa ancora un “2 di picche”, condito da un’insofferenza che ci fa soffrire l’essere penultimi in classifica. Al piano inferiore solo un Alessandria che, per vicissitudini invidiabili ad un libro di Lewis Carroll, è quasi legittimata ed inattaccabile nell’occupare un posto così basso. Al contrario di noi, inappellabile anche la “scusa” di una società che è stata ballerina e che non sa ancora bene se sarà di un unico padrone, che per quanto indeciso, è ed è sempre stato ben corretto nel fornire ciò che serve per il benessere e la preparazione di ogni singolo elemento dello staff, almeno così pare.
Non c’è nessun esito deciso e per quanto siamo in estremo ritardo come il Bianconiglio nella favola di Alice, è ora tempo di ricominciare da capo e lottare, non tanto per un finale ancora lontano ma per un percorso diverso dove le carte da gioco possono ancora mescolarsi, perché la Regina di Cuori non è ancora stata incoronata e gli assi nella manica sono, finora, rimasti nascosti.
In ogni singola partita, si assapora la distanza che separa ogni piccolo traguardo dalla sua realizzazione e, all’alba dell’ottava giornata di campionato, sul banco degli imputati, a cui la Regina taglierebbe volentieri la testa, ci finisce anche il mister. Non credo che questi 630 minuti di gioco siano da buttare via, non credo che il campo non abbia sentito la convinzione con cui questa squadra stia cercando di sfondare il muro della fragilità, una squadra obbediente al proprio tecnico, accondiscendente alle sue idee, ai suoi tentativi e ai suoi consigli. Una squadra che riconosce il proprio maestro.
Soddisfatto dell’atteggiamento dei suoi ragazzi, positivamente testimoni di migliorie visibili in campo, il mister dimentica che il dominio di palla diventa sterile se non la si “butta dentro”, le giocate diventano inconsistenti come i monologhi del Cappellaio Matto perché “Niente sarebbe com’è perché tutto sarebbe come non è”. E dopo 630 minuti, tunnel bui, porte sbattute e percorsi accidentali, l’idea sarebbe quella di averne undici, sostituibili certo, ma che si riconoscano come titolari, in modo tale da poter tentare mosse che vanno al di là degli schemi; undici petali di una rosa che, per forza, non può che crescere visto che i presupposti delle buone giocate ci sono, come l’effetto del funghetto (buono) di Alice. Il resto, pronto ad entrare nel momento del bisogno, ad adattarsi al profumo del fiore sbocciato senza interferire con le buone riuscite, degli Stregatti in panchina, abili osservatori a comparire quando la stanchezza fa da padrona o i muscoli dei compagni piangono. Altrimenti restiamo ancora immersi in un vortice, cui partita sarà noiosamente contornata dall’interrogativo se sia meglio resistere o desistere, quando l’unica cosa da fare, invece, è attaccare, per tagliare la testa alla Regina classifica.
“È impossibile solo se pensi che lo sia”
Cappellaio Matto